Festival di Venezia, Finalmente l’alba secondo italiano in concorso. Saverio Costanzo dedica il film al padre Maurizio

Festival di Venezia, Finalmente l’alba secondo italiano in concorso. Saverio Costanzo dedica il film al padre Maurizio

Festival di Venezia, Finalmente l’alba secondo italiano in concorso. Saverio Costanzo dedica il film al padre Maurizio


Camicetta sbottonata al provino o camicetta chiusa? Bisogna avere coraggio nella vita. E non è detto che nel cercare se stessi la frivola audacia paghi più dell’apparente ritrosia. La pensa così Saverio Costanzo. E ce lo mostra in una sequenza del brulicare di Cinecittà nel 1953 dopo una ventina di minuti di Finalmente l’alba, secondo film italiano in Concorso a Venezia 80. Sorta di precipitato cinematografico tra Bellissima, La Dolce vita e Fuori orario che si adagia nel tradizionale cupo e oscuro mood/marchio di fabbrica del regista romano. E non lo diciamo con ironia, anzi. La cifra emotiva che Costanzo trasmette nei suoi film è proprio questo introverso e limaccioso dolore dei suoi personaggi nel comprendere chi sono veramente in una società che li tiene ai margini o li fa specchiare in false icone o idealità. Qui è Mimosa (Rebecca Antonaci) a percorrere casualmente in una notte una sorta di trasformazione esistenziale verso l’età adulta. La 20enne, promessa sposa di un tondeggiante e sudato poliziotto, aveva accompagnato mamma e la procace avvenente sorellina al provino nei celebri studi di produzione di Cinecittà all’apice della fortuna internazionale per un kolossal prodotto dagli americani e ambientato nell’antico Egitto.

La sorella si sbottona la camicetta (“ma che le ancelle egizie hanno il seno coperto?”, afferma il romanissimo assistente di scena di fronte ai tentennamenti) e Mimosa no, ma il suo ultimo gesto di protezione e ammirazione verso la sorella (la cerca da intrusa tra gli studios) la porta ad un’immersione psicofisica, lontano dalla famiglia per circa 24 ore, improvvisamente e involontariamente alla ricerca di se stessa. La grande star Josephine Esperanto (Lily James), che nel peplum a Cinecittà interpreta una regina egizia simbolo di emancipazione femminile, ha intravisto Mimosa in un corridoio e la vuole subito truccata da ancella sul set, posizionata di fianco alla macchina da presa per guardarla e poter recitare al meglio. Tempo di ammirare la diva da vicino e Mimosa viene prima omaggiata di un raggiante vestito da sera, poi raccolta con entusiasmo dalla Esperanto, da Sean Lockwood – il giovane coprotagonista maschile che filtra con lei (Joe Keery) – e dal gallerista, qui elegante autista, Priori (Willem Dafoe).

Il viaggio attraverso la notte di Mimosa inizia in una trattoria sull’Appia antica e poi nel labirintico e torbido villone dove il jet set si gonfia di sciccose apparenze, intellettualismo radical, sesso, cocaina e soffusa prepotenza del denaro. Inutile dire che in quell’antro di rasi scuri, specchi sinistri e forme tra stucchi antichi e art decò (la fotografia magnetica è di Sayombhu Mukdeeprom e le scene misteriosamente statiche di Laura Pozzaglio, Mimosa assaggerà l’intensità del desiderio e la paura dell’ignoto. Costanzo ha molto coraggio nel prendersi tempi di composizione dilatatissimi e corridoi di scrittura dove pause e sguardi interminabili (si veda la “perfomance” poetica muta di Mimosa davanti agli ospiti) sostituiscono spesso le parole. Del resto Finalmente l’alba prima si apre con apparente ingenuità “dentro” a un film neorealista, che le sorelle protagoniste stanno vedendo al cinema con mamma, poi si “sostituisce” simbolicamente nello sguardo registico del peplum che gli americani stanno girando a Cinecittà, infine si dilata più classicamente nel ricomporre fuga individuale e tunnel notturno.

Mimosa è un Alice che comprende il senso della meraviglia, un Cappuccetto Rosso indifeso attratto dal lupo, una Cenerentola che non dispone più di carrozze per tornare a abitazione. La macchina da presa di Costanzo quasi accarezza il viso e il mezzo busto della protagonista con piccole carrellate laterali come ad estrarla dalle situazioni più o meno pericolose che la notte in villa le riserva più volte. E come se non bastasse sul finale, mentre il sole sorge, emerge con naturale gradualità il disfacimento del riflesso iconico della star verso il quale la protagonista aveva riposto cieco sentimento e fiducia. La malia di Finalmente l’alba c’è tutta. Pesante per alcuni, ma indubitabilmente traccia di un cinema sofferto che non si dimentica facilmente. Saverio Costanzo dedica il film a papà Maurizio e la qual cosa, visto cosa racconta il film, commuove.



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di Davide Turrini
www.ilfattoquotidiano.it
2023-09-01 19:45:57 ,

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